La rabbia, tra autorealizzazione e risposta patologica

La rabbia, tra autorealizzazione e risposta patologica

La rabbia, tra autorealizzazione e risposta patologica

Quando si parla di rabbia, spesso essa non viene riconosciuta come elemento determinante del comportamento. Essendo assimilata alla parte aggressiva della persona, viene considerata con accezione negativa e viene associata al comportarsi in maniera “cattiva”. La rabbia si manifesta dentro di noi ogni volta che sentiamo la sensazione di essere sopraffatti da una persona o da una contingenza esterna. Rappresenta quindi un segnale interno molto chiaro del fatto che quella specifica situazione renda impossibile qualsiasi espressione, azione o capacità di realizzazione da parte nostra.

A tal proposito, Wilhelm Reich affermava proprio che la rabbia è un'emozione secondaria rispetto alla frustrazione, che non è altro che un sentire che nasce da un mancato soddisfacimento di desiderio, quindi che emerge dal dolore e dall'impossibilità di raggiungere il piacere. In sintesi, quindi, la rabbia nasce dalla frustrazione e diventa una maschera rispetto al dolore.

Dall’altra parte, la rabbia, nella giusta intensità e incanalata verso quelle situazioni o azioni che permettono il raggiungimento di un giusto fine, può rappresentare un buon alleato nell’autorealizzazione. È importante saperla riconoscere per il benessere della salute psichica in quanto diventa un campanello interno di allarme che mette in risalto la frustrazione derivante da una serie di circostanze, spingendo pertanto l’individuo ad uscire dalla passività e a mettere in atto dei cambiamenti che lo proteggerebbero da una implosione inevitabile.

Il problema nasce nel momento in cui la rabbia non è contenuta entro certi limiti, diventa pervasiva in più aree della vita e non subisce una modulazione di espressione; essa può sfociare nella violenza verbale o fisica o, al contrario, in una sua completa inibizione, bloccando l’individuo nella passività.

La complessità di questa emozione, quindi, risiede nella sua ambiguità, saper riconoscere un vissuto interno di rabbia, la sua genesi, saperne fare un buon uso sfruttandola come una energia vitale di supporto alla realizzazione dei propri desideri; al contrario, abbandonarsi totalmente ad essa senza alcuna cognizione di causa, può rivelarsi profondamente distruttivo per se stessi e gli altri.

La rabbia patologica, i contributi della psicologia

La rabbia è un’emozione primaria, ciò significa non riconducibile ad altre emozioni. Esistono diversi tipi di rabbia, conscia, inconscia, violenta, vittimistica, di reazione. Rispetto alla furia, che si manifesta con un voltaggio costante, la rabbia invece è modulabile proprio perché viene filtrata dall’Io dell’individuo. A rendere patologica la rabbia si intersecano alcune caratteristiche come:

  • fissità
  • innesco automatico
  • eccesso di intensità
  • risposta inadeguata alla situazione

Di conseguenza, è evidente che la rabbia assuma significato specie nel rapporto con l’altro per cui, diventa patologica, quando si pone al di fuori della consensualità del gruppo sociale di riferimento. È associata ad una serie di cambiamenti a livello fisiologico e somatico:

  • aumento della tensione muscolare e iper-sudorazione
  • aumento della temperatura corporea
  • aumento del battito cardiaco e della pressione arteriosa
  • maggior afflusso di sangue ai vasi periferici

Cambia anche l'espressione facciale e la gestualità, si aggrottano le sopracciglia, si stringono o si battono i pugni, si serrano i denti fino a digrignarli. Questi segnali della comunicazione non verbale hanno chiaramente un effetto sull'interlocutore e sul suo comportamento.

La rabbia suscita inoltre vergogna, il sentimento conscio o inconscio di non essere riconosciuto nella dignità di individuo e di essere respinto. A sua volta la vergogna produce altra rabbia, all’interno di una escalation dove, ogni dolore, deve essere affrontato con una nuova ondata di rabbia. Una scarica di rabbia non produce sollievo se non in maniera temporanea, costa fatica recuperare la padronanza di sé ed assumere un atteggiamento più riflessivo basato sul decidere e reagire in maniera appropriata. Spesso quando ci si sente impotenti, si innesca una rabbia repressa: ci si può sentire travolti da una grande collera, accompagnata da fantasie di distruzione che permettono un riscatto onnipotente del nostro io, che potrà sentirsi forte e attivo ma, evidentemente, solo nella fantasia.

Molti sono i contributi della ricerca psicologica nello studio della rabbia, relazionandola all’aggressività come un aspetto essenziale all’interno della complessa dinamica trasformativa della vita. La rabbia considerata in tal senso è adattiva e ha la funzione di salvaguardare la crescita e lo sviluppo, sostenendo la produttività e la creatività. In questo modo rassicura la persona sul proprio valore e le sue potenzialità, permettendo la formazione e il mantenimento di una identità unica e inconfondibile. Tale rassicurazione in primis viene attesa dai genitori o dalle figure di accudimento del bambino nella sua fase più precoce dello sviluppo, successivamente da ogni altro individuo e dalla società, andando a confluire nell’autostima che ogni persona nutre per sé stessa.

La rabbia nel setting terapeutico

Anche la stanza di psicoterapia finisce per essere invasa da queste scariche rabbiose, difficilmente trasformabili in elementi pensabili. Per poter uscire dal circolo della rabbia, è necessario osservare e comprendere il funzionamento dei meccanismi psicologici ripetitivi che sono alla base. Inizialmente è importante saper riconoscere la rabbia che nasce dall’interno, poterla rendere successivamente pensabile e quindi modulabile o convertirla in un comportamento più adattivo e sicuramente più fruttuoso in termini di risultati. Il dolore e il senso di solitudine e di distanza emotiva che spesso si percepisce nei confronti degli altri genera un senso di delusione grande per cui, il desiderio di vicinanza affettiva all’altro, si tinge di risentimento. Ci si chiede cosa fare per cambiare l’altro, perché spesso la partenza è l’assunto granitico “Io sono fatto così!”, che impedisce qualunque lavoro dialettico su stessi. Questa staticità, inoltre, blocca qualsiasi pensiero improntato al domani e quindi ad un possibile cambiamento, necessario invece per uscire dallo stato di impasse del soggetto nei confronti della vita ma anche della terapia e dell'evoluzione.

La linea propria delle terapie psicodinamiche va nella direzione di una tolleranza verso la rabbia (che non si trasforma mai in una sua passiva accettazione o incentivazione) da accompagnare di pari passo alla comprensione delle sue origini e motivazioni. Un aspetto importante è relativo alla vergogna che prova l’individuo dopo una esternazione rabbiosa, anche se non manifestata apertamente con delle scuse. Agire in maniera punitiva sul senso di colpa non ha senso in quanto si finisce per rinforzare il meccanismo patologico. Ciò che è veramente utile è poter restare in contatto con il vero dolore, la possibilità di prendere atto del fatto che è possibile abbassare l’ascia di guerra potendo a mano a mano, secondo i propri tempi, arrivare a riconoscere i motivi reali della rabbia, i meccanismi di deviazione della stessa verso persone che non ne rappresentano la causa, sospendendo così l'agito in favore della riflessione.


Dott.ssa Alessandra Roberti
Psicologa a Roma

Dott.ssa Alessandra Roberti

Sono una Psicologa clinica. Fornisco consulenze e supporto psicologico, affiancando il paziente con sensibilità e competenza.

Partita IVA 02372640447
Iscritta all'Ordine degli Psicologi della regione Lazio col n.23867

2024. «powered by Psicologi Italia». E' severamente vietata la riproduzione delle pagine e dei contenuti di questo sito.