In ogni legame affettivo è presente una forma di dipendenza sana. Il desiderio di sentirsi in relazione è qualcosa di naturale per l'essere umano e rientra tra i bisogni fondamentali; il legame dà sicurezza e sostiene l'esplorazione del mondo a livello personale. La dipendenza sana permette agli individui di fare affidamento sull'altro, di potersi appoggiare nei momenti di difficoltà, di sentirsi al sicuro.
In questi casi è più facile accettare compromessi e venirsi incontro a patto che, tale atteggiamento di fiducia verso l'altro, sia vicendevole. La gentilezza e l'accoglienza permettono la risoluzione di problemi in maniera condivisa, mettendo i due attori sullo stesso piano in termini di forza emotiva e competenza.
Deve quindi trattarsi di una modalità di vivere il legame che comporta da una parte l'accettazione dei vincoli dello stesso e, dall'altra, la capacità di tollerare la mancanza e l'attesa quando si è lontani l'uno dall'altro. In tal senso, infatti, vi è la capacità di percepire se stessi e gli altri come soggetti separati con dei propri confini, che proteggono l'individualità e l'autonomia di ciascuno.
Esiste tuttavia una dipendenza affettiva disfunzionale. Dice lo scrittore Coelho "Amare è come una droga all'inizio viene la sensazione di euforia, di totale abbandono. Poi, il giorno dopo, vuoi di più. Non hai ancora preso il vizio, ma la sensazione ti è piaciuta e credi di poterla tenere sotto controllo (...) a quel punto come i drogati rubano e si illuminano per ottenere ciò di cui hanno bisogno, sei disposto a fare qualsiasi cosa per amore". Mi sembra una buona descrizione di un legame che si manifesta come coercitivo nei confronti di una persona della quale non si riesce a fare a meno. Un rapporto del genere diventa una gabbia che toglie spazio all'individualità, producendo maggiore insicurezza, preoccupazione, mancanza di fiducia, rabbia. Questi sono i casi in cui una relazione, non escluse quelle d'amore, trattiene incatenati nella sofferenza, negando la libertà.
Facendo riferimento allo scrittore, accademico, filosofo, psicoanalista Galimberti, egli definisce la dipendenza affettiva come "una modalità relazionale in cui un soggetto si rivolge continuamente agli altri per essere aiutato, guidato e sostenuto. L'individuo dipendente, avendo scarsa fiducia in sé stesso, fonda la propria autostima sulla rassicurazione, sull'approvazione altrui ed è incapace di prendere decisioni senza un incoraggiamento esterno". È evidente come il senso di impotenza dà l'illusione, alla persona dipendente, che una relazione simbiotica con l'altro lo proteggerà da ogni cosa accada nel mondo; tale illusione, o meglio ossessione, diventa un rapporto patologico, conducendo a comportamenti spesso di sottomissione da parte di chi dipende, per una costante paura della separazione.
Si innesca quindi un controllo dell'altro piuttosto serrato, temendo l'abbandono anche quando non ci sono i motivi per sospettare un allontanamento. Nel momento in cui questa modalità relazionale diventa stabile e pervasiva nella vita quotidiana, si può parlare di disturbo dipendente di personalità.
Nella quotidianità le modalità dipendenti si riflettono in una grande varietà di comportamenti, come:
La dipendenza affettiva ha molti elementi in comune con le dipendenze in genere: si ricerca uno stato della mente irraggiungibile nella realtà, la quale invece risulta intollerabile; la differenza importante è che la dipendenza affettiva si sviluppa nei confronti di una persona a cui il dipendente si dedica e non verso una sostanza. Segni e sintomi della dipendenza affettiva sono in gran parte speculari a quelli delle dipendenze comportamentali:
Nella storia di donne e uomini affettivamente dipendenti, si riscontrano spesso delle grandi carenze emotive, legate all'assenza di una presenza genitoriale effettivamente nutrente, in grado di trasmettere un amore incondizionato al bambino. La mancanza di uno sguardo che dia valore al piccolo produce un sentimento di incompiutezza che il bambino, una volta adulto, continuerà a cercare di compensare. Può accadere anche che il bambino si sia sentito abbandonato (sia realmente che simbolicamente) in un momento dello sviluppo emotivo in cui aveva estrema necessità di sentirsi riconosciuto come individuo. La dipendenza infine può derivare anche da una condotta genitoriale improntata a far credere che il figlio non sia nulla senza i genitori e che quindi è dipendente da loro.
Con la convinzione di non poter saziare l'enorme vuoto interno si inizia a credere che solo l'altro sarà capace di riempirlo affettivamente, così da potersi sentire un individuo completo. Tuttavia, si compie un errore: nessuno può essere in grado di riempire questo vuoto del passato.
Generalmente è la sofferenza associata che fa chiedere aiuto, a causa di legami di lunga durata che hanno creato un disagio marcato. Quello che però risulta difficile superare è l'ambivalenza: da un lato ci si rende conto della problematica e delle sue conseguenze, dall'altro si fatica a prenderne le distanze perché la separazione provoca una lacerazione interna, un senso di vuoto e di angoscia spesso insopportabili. È questo il motivo per cui si tollerano umiliazioni che, a loro volta, generano rabbia e frustrazione.
Allo scopo di uscire dalla relazione distruttiva è necessario lavorare su se stessi e sulle proprie dinamiche emotive, per rinforzarsi e poter reggere la successiva separazione. Si tratta di percorsi discretamente lunghi e impegnativi, che richiedono pazienza e costanza, non sempre lineari. Spesso, infatti, si verificano delle ricadute proprio a causa dell'ambivalenza che caratterizza la dipendenza, supportata da schemi relazionali cristallizzati nel tempo e sovente accompagnati da alte resistenze al cambiamento.
È necessario riconoscere e accettare il proprio stato di dipendenza affettiva che viene inizialmente negato, affrontare la propria storia e le cause sottostanti per poter rielaborare esperienze affettive dolorose relative all'infanzia e, non di rado, a modelli di coppia e amore disfunzionali appresi nella famiglia di origine. Tutto questo prepara il terreno al cambiamento e alla motivazione ad abbandonare la dipendenza, per instaurare relazioni affettive soddisfacenti e basate sulla condivisione.
Un altro obiettivo sarà raggiungere una capacità di autoregolazione e tolleranza delle emozioni negative come colpa, rimorso o vergogna a lungo nascoste nella relazione di dipendenza.
La valorizzazione dell'autonomia e dell'assertività nell'esprimere i propri bisogni, comporta il raggiungimento del principio di autodeterminazione, all'interno di un setting protetto che sostiene e permette una graduale accettazione di vissuti dolorosi, come parti integranti della propria persona.
Dott.ssa Alessandra Roberti
Psicologa a Roma
Sono una Psicologa clinica. Fornisco consulenze e supporto psicologico, affiancando il paziente con sensibilità e competenza.
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